Un ricchissimo industriale di mezza età, affetto da mille fobie, assolda un cameriere in qualità di degustatore personale. Il giovane, abbagliato dalla vita sfarzosa che si troverà improvvisamente a condurre e sedotto dall’inafferrabile personalità del miliardario, finirà per allontanarsi dai suoi amici e dalla sua ragazza, e sarà costretto ad assecondare in modo sempre più pericoloso i giochi di potere e di seduzione propostigli dall’uomo.
Tratto da un romanzo di Philippe Balland, il secondo film di Bernard Rapp parte da una situazione simile a quella descritta dalla coppia Pinter e Losey in quel capolavoro di crudele ambiguità che è Il Servo. Ma qui la situazione è ribaltata: non è più il proletario a schiacciare con la propria personalità uno sciocco e vanesio “padrone”, ma esattamente il contrario. Rapp pare uno Chabrol meno sottile e più morboso e il suo film è leggibile attraverso diversi aspetti, sia in chiave socio-politica (il denaro può comprare una persona e la sua personalità), sia in chiave velatamente erotica (il rapporto fra i due uomini, pur eterosessuali, si carica di un’evidente valenza omosessuale). Raccontato in flashback, con i protagonisti della vicenda che testimoniano davanti ad un giudice (un invecchiatissimo Jean Pierre Leaud), la pellicola cresce in modo insinuante e suscita spesso un reale e profondo senso di disagio nello spettatore, merito anche della magistrale interpretazione dell’odioso Bernard Giraudeau nei panni del perverso magnate.
